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Corte d'Appello di Bologna > subordinazione
Data: 12/01/2006
Giudice: Benassi
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 859/05
Parti: G3 Ferrari/ Graffigna
SUBORDINAZIONE – CRITERI DISTINTIVI


Con la decisione in commento la Corte d’Appello di Bologna ribadisce il suo orientamento restrittivo in materia di rivendicazione di rapporti di lavoro subordinato (cfr. Corte d’Appello 6 ottobre 2003 in RGLNews n. 6/2003), anche di fronte ad elementi percepiti dal sentire comune come tipici della subordinazione.

Il caso in esame riguardava un procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, conclusosi con sentenza del Tribunale di Forlì favorevole all’INPS, per omissione di versamenti contributivi relativi alle prestazioni rese da un gruppo di lavoratrici che – secondo gli accertamenti effettuati dall’Ispettorato dell’Istituto – avevano svolto attività di centraliniste all’interno dei locali della società appellante (fornendo informazioni sull’oroscopo, sulle statistiche dei numeri del lotto, sul totocalcio, interpretando le “carte” e i “tarocchi”): a) utilizzando apparecchi telefonici messi dalla medesima società a loro disposizione; b) essendo inserite nella struttura aziendale ed essendo chiamate a svolgere un’attività finalizzata a perseguire lo scopo sociale; c) espletando le stesse mansioni svolte in precedenza da loro stesse (in alcuni casi da altro personale) con rapporto di lavoro subordinato; d) essendo tenute a rispettare l’orario e la sua articolazione come prestabiliti secondo un palinsesto settimanale preparato dalla società; e) dovendo attestare la propria presenza con l’utilizzo di un cartellino marcatempo; f) percependo un compenso sulla base delle ore effettuate, come risultanti dal cartellino marcatempo; g) potendo il datore di lavoro variare, quantitativamente, il numero di ore di lavoro precedentemente autorizzato a ciascun dipendente disponendo pure del potere discrezionale della riduzione del corrispettivo orario già pattuito in sede contrattuale. Il Tribunale di Forlì aveva respinto l’opposizione della società confermando la sussistenza della subordinazione, e la società aveva proposto appello, che veniva accolto dalla Corte di Bologna la quale, riformando la sentenza di primo grado, ha nuovamente puntualizzato la propria posizione sui principali temi in materia.

EFFICACIA PROBATORIA DEI VERBALI DELL’ISPETTORATO. La Corte ritiene che i medesimi, in tema di omesso versamento dei contributi, costituiscano prova idonea a legittimare il ricorso al procedimento ingiuntivo e facciano fede fino a querela di falso per quanto riguarda la provenienza dal pubblico ufficiale che li ha redatti e i fatti che quest’ultimo attesta essere avvenuti in sua presenza o essere stati da lui compiuti. Invece “per le altre circostanza di fatto, che il verbalizzante segnali di aver accertato nel corso dell’inchiesta, per averle apprese de relato o in seguito ad ispezione di documenti, la legge non attribuisce al verbale alcun valore probatorio precostituito, neppure di presunzione semplice, ma il materiale raccolto dal verbalizzante deve essere liberamente apprezzato dal giudice, il quale può valutarne l’importanza ai fini della prova, ma non può mai attribuirgli il valore di vero e proprio accertamento addossando all’opponente l’onere di fornire la prova dell’insussistenza dei fatti contestatigli (fra le tante v. Cass. n. 6847/87; n. 3148/85; n. 392/92; n. 3973/98; n. 5041/00)”.

NOMEN JURIS. Il collegio ribadisce di condividere quell’orientamento secondo cui il codice civile e le leggi speciali sottraggono ai soggetti del rapporto il potere di regolare a loro criterio il contenuto del rapporto stesso, affidando la tutela degli interessi del lavoratore alla legge e alla contrattazione (Cfr. Cass. n. 7885/97 e n. 4533/00). Distinguono peraltro due ipotesi. La prima è quella che i contraenti vogliano attuare un rapporto di subordinazione, ma che dichiarino di volere un rapporto di lavoro autonomo per aggirare i connessi obblighi ed oneri: in tal caso prevale il contratto dissimulato su quello simulato ai sensi dell’art. 1414, secondo comma cod. civ. La seconda ipotesi è quella in cui i contraenti abbiano effettivamente voluto un rapporto autonomo, ma mediante lo svolgimento del rapporto manifestino, con fatti concludenti, mutamenti della volontà inizialmente espressa: in questo caso i comportamenti assumono rilevanza giuridica nella fase in cui le prestazioni vengono scambiate, e dal loro contenuto si risale al tipo negoziale in cui la vicenda concreta deve essere inquadrata.

Rispetto al caso specifico, la Corte non attribuisce rilevanza al fatto che i rapporti di lavoro, prima di essere trasformati in co.co.co. fossero inquadrati come di lavoro subordinato, ritenendo infondata l’ipotesi, prospettata nel verbale di accertamento INPS, che la scelta del rapporto di collaborazione autonoma non sarebbe stata determinata dalla libera volontà delle parti: secondo l’Ispettorato, infatti, tale “scelta” era stata dettata dalla necessità di lavoro e di guadagno delle dirette interessate le quali, pur di accedere ad un posto di lavoro, avevano dovuto accettare le condizioni loro imposte. Secondo un ragionamento molto formalistico, i giudici bolognesi affermano che lo stato di necessità e lo stato di bisogno potrebbero al più legittimare la rescissione del contratto, ma non consentirebbero di pervenire ad una diversa qualificazione del rapporto contrattuale. Inoltre la divergenza fra la volontà della parte e la dichiarazione negoziale manifestata potrebbe essere presa in considerazione “solo nelle particolari ipotesi previste dalla legge (ad esempio simulazione, annullamento per vizi della volontà o per incapacità naturale della parte) di regola prevalendo, sulla base del principio di tutela dell’affidamento e della buona fede, la dichiarazione esternata sulla volontà effettiva”. Con buona pace del principio, ugualmente affermato in sentenza, secondo cui “la qualificazione del rapporto compiuta dalle parti, nella iniziale stipulazione del contratto, non è determinante, stante l’idoneità, nei rapporti di durata, del comportamento delle parti ad esprimere sia una diversa effettiva volontà, sia una nuova diversa volontà (v. Cass. n. 15001/00; n. 11502/00, n. 8407/01; n. 9019/01)”

UNICO ELEMENTO CARATTERIZZANTE LA SUBORDINAZIONE. La Corte fa ancora proprio il ragionamento tautologico sempre ripetuto dal Supremo Collegio: “l’elemento essenziale e determinante del lavoro subordinato costituente elemento discretivo rispetto al lavoro autonomo, è il vincolo della subordinazione (v. tra le tante Cass. n. 15275/04; n. 3929/01; n. 2790/01; n. 6089/91) che si configura come soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro e si estrinseca nell’emanazione di ordini specifici e nell’esercizio di un’assidua attività di vigilanza e controllo nell’esecuzione delle prestazioni lavorative e va, concretamente, apprezzato con riguardo alla specificità dell’incarico conferito al lavoratore e al modo della sua attuazione (Cass. n. 17382/03; n. 5989/01; n. 2970/01; n. 224/01)”.

Al contrario “la continuità della prestazione, la rispondenza dei suoi contenuti a fini propri dell’impresa, la presenza di direttive tecniche e di poteri di controllo, le modalità di erogazione della retribuzione, l’assenza del rischio e l’osservanza di un orario non assumono rilevo determinante, essendo compatibili sia con il rapporto di lavoro subordinato, sia con quelli di lavoro autonomo parasubordinato (v. Cass. n. 224/01; n. 15001/00; n. 1420/02; n. 9900/03; n. 13840/03; n. 2414/04: n. 2842/04)”.

Nel caso in esame, comunque, i giudici dell’appello hanno attribuito rilevanza al fatto che non era previsto che in caso di malattia venisse inviato un certificato medico; che nelle risposte all’utenza le centraliniste non fossero obbligate ad assumere una linea interpretativa determinata dal committente o a trattare gli argomenti da altri prescelti; che potessero liberamente scambiare con le colleghe il turno già predisposto dalla società (fermo restando l’obblig